Molti pensano che le aziende siano un gruppo di individui chiamati a fornire le proprie prestazioni e aspettare in cambio lo stipendio a fine mese. Niente di più sbagliato.
Azienda è relazioni umane. Fare azienda significa stringere un rapporto di fedeltà con i propri collaboratori, con i propri fornitori, con i propri clienti. Significa abituarsi all’ascolto e allenare la sensibilità. Esercitare l’empatia e collocarsi nell’altro. Significa, appunto, costruire relazioni umane.
In questi trent’anni di Tuttolegno ho avuto la fortuna di collaborare con moltissimi architetti, ingegneri, progettisti e altri professionisti di ogni ramo. Con ognuno di questi ho intessuto solide relazioni e iniziato collaborazioni fruttuose. Insieme abbiamo dato vita a progetti entusiasmanti e in alcuni casi abbiamo realizzato il sogno di tutta una vita di qualcuno. Questo mi riempie di gioia, ma non sarebbe mai stato possibile se fin dall’inizio della mia attività non avessi creduto fortemente nelle relazioni umane all’interno dell’ambito lavorativo.
Dopo trent’anni la sfida è la stessa: ci approcciamo ai clienti con comprensione, desiderosi di capire e interpretare al meglio i suoi bisogni. Lo facciamo studiando la sua filosofia e visione del mondo, rispettando la sua identità e il suo carattere, per offrirgli la soluzione migliore. Ogni persona che ci chiede di ideare e realizzare il suo spazio, il suo luogo dove poter comunicare ed esprimere la sua attività – e quindi se stesso – è un valore.
Non possiamo esimerci – e in trent’anni di lavoro non l’abbiamo mai fatto – dal considerarlo tale, perché altrimenti rischieremmo di progettare e costruire qualcosa di asettico, impersonale, vuoto.
Ancora peggio: rischieremmo di dare vita a qualcosa che non è a misura del cliente e che egli stesso non sente suo. Ancora una volta le relazioni umane e la connessione empatica: ogni richiesta è un ascolto, ogni problema è un’opportunità, ogni successo è una vittoria di gruppo.
Ovviamente questo discorso vale con la medesima forza nei confronti della mia fedele squadra di lavoro e di tutti i professionisti che mi affiancano durante tutte le fasi di lavoro: architetti, ingegneri, artigiani, operai.
Non saprei immaginare una collaborazione con ognuno di loro che non sia basata su una stretta connessione di idee e di visioni. Ma raggiungere una tale armonia non è cosa scontata: ci vogliono tante mattinate impantanate ad insistere su una soluzione architettonica piuttosto che un’altra, tanti pomeriggi a discutere di dettagli che potevano aprire a mondi diversi, tante conversazioni a notte fonda su quale materiale assolve meglio una certa funzione all’interno dello spazio del locale. Ci vuole, ancora, la conoscenza dell’essere umano prima ancora che del professionista.
Non lo nascondo: ci vuole anche una certa dose di insuccessi. Bisogna sbattere la testa, sopportare i cavilli burocratici, accettare che non si può sempre fare come si vuole. Bisogna quindi saper fallire. Tengo sempre bene a memoria una frase di un gigante dello sport, Michael Jordan, che diceva più o meno così:
«Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento palle, ventisei volte i miei compagni di squadra mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito. Molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto». Solo chi fallisce sa riconoscere il valore del successo.
Per tornare al rapporto con il cliente, mi sento di voler aggiungere una cosa molto importante: il cliente è parte del team. Con questo non intendo dire che prende le misure del locale o che partecipa operativamente al disegno del progetto. Intendo dire che entrare in sintonia con lui – durante le prime conversazioni ma anche nelle fasi seguenti – per capire e conoscere, più o meno esplicitamente, le sue idee e i suoi valori, le sue ambizioni e ciò che nel profondo desidera per la sua attività, mi e ci serve a identificare la sua identità e a riportare l’anima del suo proprietario all’interno del fabbricato. I
n fondo è di questo che si parla: essere parte del team è contribuire al successo della propria squadra secondo le proprie caratteristiche e possibilità. Il cliente lo fa raccontandoci la sua storia – e magari qualcosa in più della sua storia –, noi abbiamo il compito, prima ancora di prendere squadre e matita in mano, di sbirciare un po’ di più per capire se possiamo andare oltre la sua storia, e arrivare alla sua anima. Le relazioni umane. Mi torna come un mantra quest’espressione. Sì, perché le relazioni si stringono come le viti per incastrare i cassettoni.
Si lavorano e si modellano, come quando in magazzino è l’ora di dare la forma al Corian® o al legno, e di tirarne fuori un banco o un espositore. Si costruiscono ex novo, come quando stringi per la prima volta la mano al tuo nuovo cliente e sai che sta per iniziare un nuovo viaggio. Team e relazioni umane sono due espressioni che mi porto dentro da sempre e che ormai fanno parte della mia filosofia di vita e lavoro. Penso che anche questo sia un piccolo segreto del nostro successo.